Il fondo e i compensi degli amministratori delle società

Riporto un mio commento, su una casistica sempre più diffusa, apparso in Personale News n. 19/2013.

 

1. Premessa.

Le voci che alimentano il fondo delle risorse decentrate finalizzate all’erogazione del salario accessorio dei dipendenti degli enti locali, sono identificate dal contratto nazionale il quale ne precisa modalità, valori e percentuali. I riferimenti per il comparto delle autonomie territoriali è contenuto all’art. 15 del CCNL 1.4.1999; il fondo così quantificato è stato poi suddiviso in risorse stabili e risorse variabili dall’art. 32 del CCNL 22.01.2004.

Successivamente, i contratti nazionali, hanno previsto ulteriori incrementi. Quello che qui preme sottolineare è il fatto che esiste una modalità di incremento del fondo che ricade sotto la definizione di “specifica disposizione di legge” ed è prevista alla lettera k) dell’art. 15 del CCNL 1.4.1999. Tale voce è destinata nel tempo ad accogliere eventuali somme aggiuntive che il legislatore individua di volta in volta.

Tra queste, su Personale News, ci siamo occupati più volte delle economie derivanti dai piani di razionalizzazione di cui all’art. 16 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98.

Con questo approfondimento, e prendendo spunto da una deliberazione della Sezione regionale dell’Umbria della Corte dei conti, ci concentriamo sull’incremento del fondo dovuto alla partecipazione dei dipendenti di un ente al consiglio di amministrazione di una società.

2. Inquadramento della fattispecie.

 Il riferimento normativo è contenuto all’art. 4 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (spending review). L’applicazione di quanto andremo ad esporre si riferisce esclusivamente al contesto delle società controllate direttamente  o indirettamente che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazioni e di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90% dell’intero fatturato.

Il comma 4, nell’ottica di limitare i componenti dei consigli di amministrazione e i relativi costi, prevede quanto di nostro interesse.

I consigli di amministrazione delle società di cui al comma 1[1] devono essere composti da non più di tre membri, di cui due dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, per le società a partecipazione diretta, ovvero due scelti tra dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a partecipazione indiretta. Il terzo membro svolge le funzioni di amministratore delegato. I dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, ferme le disposizioni vigenti in materia di onnicomprensività del trattamento economico, ovvero i dipendenti della società controllante hanno obbligo di riversare i relativi compensi assembleari all’amministrazione, ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio, e alla società di appartenenza. E’ comunque consentita la nomina di un amministratore unico. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione  successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Queste le problematiche principali:

–          il principio di onnicomprensività della retribuzione;

–          il limite del fondo di cui all’art. 9 comma 2bis

–          l’utilizzo concreto di tali somme.

 

3. L’onnicomprensività.

Dobbiamo rilevare che, nella disposizione in esame, il legislatore è stato particolarmente attento al principio dell’onnicomprensività della retribuzione del dipendente pubblico. Infatti, non si ricava nessuna erogazione diretta a favore dei lavoratori, bensì un trasferimento diretto alle casse della pubblica amministrazione. Il concetto era già stato peraltro ribadito dalla Sezione regionale della Corte dei conti della Lombardia, la quale, nella Deliberazione n. 96/2013 ha affermato che “il corrispettivo assembleare previsto dalla società in mano pubblica è posto ad esclusivo vantaggio del bilancio della pubblica amministrazione”.

Anche i giudici contabili dell’Umbria, nella deliberazione oggetto del presente approfondimento, conclude che tali emolumenti non possono che confluire nel fondo del trattamento economico accessorio; non vi sono peraltro incertezze poiché l’art. 4 comma 4 del d.l. 95/2012 espressamente afferma “ferme le disposizioni vigenti in materia di onnicomprensività del trattamento economico”.

 

4. Il tetto del fondo.

 La seconda problematica è inerente all’inclusione o meno di tali somme che confluiscono nel fondo delle risorse decentrate tra le voci oggetto di limitazione e riduzione ai sensi dell’art. 9 comma 2-bis del d.l. 78/2010.

Come noto, la disposizione prevede che il totale del trattamento accessorio di ciascun anno non può essere superiore all’importo dell’anno 2010; lo stesso ammontare va inoltre proporzionalmente ridotto sulla base delle cessazioni dal servizio dei dipendenti.

Su tale fattispecie sono intervenuti diversi chiarimenti interpretativi, ma ad oggi non vi è stata alcuna pronuncia risolutiva sui compensi in esame.

La Sezione Umbra della Corte dei conti, richiamando quanto espresso dalle Sezioni Riunite nella deliberazione n. 51/CONTR/11 del 4 ottobre 2011, conclude affermando che l’art. 4 comma 4 del d.l. 95/2012 non stabilisce nessuna deroga alla normativa vigente, ma anzi precisa che la rassegnazione dei compensi per le cariche nelle società pubbliche ai fondi della contrattazione integrativa deve avvenire “in base alle vigenti disposizioni”. Tra queste, i giudici, fanno rientrare anche quelle dell’art. 9 comma 2-bis.

Infine, la Deliberazione n. 121/2013, a conclusione della tematica, afferma che tale rassegnazione rappresenta una economia per l’ente, che, fermo restando il tetto massimo previsto per il fondo del salario accessorio, riduce la propria spesa destinata al finanziamento del suddetto fondo, a vantaggio del bilancio dell’ente, della quota parte derivante dall’introito dei compensi assembleari di cui all’art. 4, comma 4, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95.

5. L’utilizzo del fondo.

È molto sibillina, ma estremamente corretta, la considerazione della Corte dei conti della Puglia in merito all’utilizzo delle risorse che confluiscono nel fondo: è materia riservata alla contrattazione. Gli importi, quindi, destinati al salario accessorio, andranno contrattati sulla base delle vigenti regole previste dai contratti nazionali, tenendo conto sia del tetto rispetto all’anno 2010, sia del principio di onnicomprensività della retribuzione.



[1] “Nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell’intero fatturato…”

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