Reintegro del personale in un ente locale

Riporto di seguito un mio articolo apparso su Personale News che riguarda il delicato rapporto tra reintegro del personale (in questo caso dallo scioglimento di un’Unione) e limitazioni finanziarie (patto di stabilità e spese di personale).

 

Scioglimento di una unione e reintegro del personale

di Gianluca Bertagna

 

 

1. Premessa.

 

Prendiamo spunto da un parere del Ministero dell’Interno del 31 luglio 2013[1], ma diffuso solamente in questi giorni, per affrontare, sinteticamente, la tematica relativa al reintegro dei dipendenti nei comuni di appartenenza in caso di scioglimento di una unione precedentemente costituita.

La questione è stata, secondo noi, liquidata troppo semplicemente. Nel parere, infatti, si legge che il reintegro è possibile solamente rispettando il limite di spesa previsto dalla normativa vigente.

E se tale limite non si rispetta? Significa che l’unione non può essere sciolta?

Parliamone un po’.

 

 

2. I limiti alla spesa di personale.

 

Sull’argomento, oltre al parere in esame, possiamo contare sull’interessante deliberazione n. 284/2012/SRCPIE/PAR[2] della sezione regionale di controllo Piemonte della Corte dei Conti. In tale documento viene fatto un riassunto anche delle pronunce precedenti e, pertanto, costituisce un ottimo punto di analisi della vicenda.

Uno dei periodi a maggiore effetto, che vi si trova, è il seguente: “Il trasferimento di funzioni e di personale dai singoli comuni alle unioni non è espressamente disciplinato dalla legge per quanto riguarda il regime vincolistico diretto al contenimento della spesa di personale”.

Le cose non stanno esattamente così. Infatti, l’unione, è senza dubbio un ente locale (art. 32 del TUEL) e, poiché dotata di personalità giuridica, ha in capo precisi obblighi di contenimento della spesa di personale; nello specifico quelli riferiti agli enti non soggetti al patto di stabilità.

La norma di riferimento è l’articolo 1, comma 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per l’anno 2007)[3].

Il problema, eventualmente, si pone sul rapporto che tale spesa ha nei confronti degli enti e cumulativamente con gli enti che costituiscono o fanno parte della nuova realtà giuridica.

Ed è in tale contesto che si inseriscono le considerazioni, ormai consolidate, della sezione delle Autonomie della Corte dei Conti. Nella sua deliberazione n. 8/2011/QMIG[4] leggiamo: “Il contenimento dei costi del personale dei Comuni deve essere valutato sotto il profilo sostanziale, sommando alla spesa di personale propria la quota parte di quella sostenuta dall’Unione dei comuni”.

E, più avanti: la disciplina vincolistica in tale materia non può incidere solo per il personale alle dirette dipendenze dell’ente, ma anche per quello che svolge la propria attività al di fuori dello stesso e, comunque, per tutte le forme di esternalizzazione”.

Unico margine di manovra: “Allo scopo si dovranno reperire ed adottare idonei criteri per determinare la misura della spesa di personale propria dell’Unione che sia riferibile pro quota al Comune”.

Per capire a quali dipendenti fare riferimento per determinare la spesa di personale dell’unione, riportiamo quanto indicato dalla Corte dei Conti, sezione regionale Veneto, nella deliberazione n. 204/2013/PAR[5].

 

Dove si trova la spesa di personale delle Unioni?

… il contenimento della spesa ed in particolare della spesa del personale vede la necessaria riconduzione tra gli oneri del personale del comune:

–        della spesa sostenuta per il personale in prestito all’Unione dei comuni (il cui onere rimane interamente in capo al comune);

–        della quota parte di spesa del personale trasferito, in base agli istituti previsti nell’ordinamento giuslavoristico pubblico, dall’ente all’Unione, ora dipendente della stessa Unione;

–        della quota parte di spesa del personale assunto autonomamente dall’Unione, ove presente (cfr. deliberazione di questa Sezione   n. 21/2013/PAR).

 

Riassumendo:

–        la costituzione di una unione non può mai portare una maggiore spesa di personale rispetto alla somma di quella dei singoli comuni partecipanti; questo è stato previsto al comma 5, dell’articolo 32, del TUEL, così come aggiornato dall’art. 19, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;

–        a regime, addirittura, in un’ottica di razionalizzazione, devono essere assicurati progressivi risparmi in materia di personale;

–        l’unione ha precisi vincoli in materia di contenimento della spesa di personale, in quanto ente non soggetto al patto di stabilità;

–        la spesa di personale dell’unione non ha, però, vita autonoma, ma va “ridistribuita” (con idonei criteri), sui comuni facenti parte della stessa;

–        i singoli enti, quindi, nella verifica dei propri limiti, devono aggiungere alle spese di personale del comune, la quota parte “ridistribuita” delle spese di personale dell’unione.

Se così stanno le cose, ed è davvero difficile sostenere tesi contrarie, è inevitabile che le politiche di gestione delle risorse umane (assunzioni, convenzioni, comandi, distacchi, mobilità, sostituzioni, ecc.) non possano che prescindere sempre da valutazioni coerenti ed omogenee e condivise tra comuni ed unione.

Si può persino spingersi ad affermare che la programmazione triennale del fabbisogno di personale dell’unione non potrà mai essere completata se, prima, non sono state definite quelle dei comuni partecipanti o, almeno, senza aver avuto da questi il benestare preventivo.

Se le amministrazioni in esame si sono, da sempre, adeguate a questi principi (peraltro abbastanza “logici”, anche senza la precitata modifica all’art. 32 del TUEL), non dovrebbe esserci nessun problema al reintegro del personale, in seguito alla chiusura di una unione. La spesa di personale è sempre stata ridotta e contenuta nei limiti e, quindi, lo “spostamento” di un dipendente da un ente all’altro non dovrebbe mai creare problema.

 

 

3. Quando i limiti non sono rispettati.

 

La “storia” ha, però, dimostrato che non sempre le cose sono andate così. Senza entrare nei motivi che potrebbero averlo causato, l’ammontare complessivo delle spese di personale tra enti partecipanti e unione è, nel tempo, incrementato e, quindi, l’eventuale reintegro del personale al comune potrebbe creare un problema.

Il superamento del tetto di spesa per il singolo comune potrebbe però derivare anche da un’altra situazione ovvero quando il costo dei dipendenti che ritornano è superiore alla quota parte delle spese di personale dell’unione che l’ente inseriva tra le proprie spese.

Nel primo caso, è evidente che non sono stati rispettati i limiti di legge e neppure un comportamento di logica e buonsenso nell’ottica della razionalizzazione tipica di una gestione associata.

Nel secondo caso, si tratta, semplicemente, di andare a ridistribuire tra i vari enti nuovi “equilibri” di spesa di personale, tenuto conto che non è possibile incidere esclusivamente sulla spesa, bensì anche sul tetto limitativo di ciascun ente.

Ma, in ogni caso, qualora vi sia il superamento del limite, i dipendenti possono “rientrare” nei singoli comuni?

Chi scrive non ha dubbi nell’affermare che non può essere la limitazione di spesa di personale a “bloccare” una revisione delle gestioni associate, soprattutto quando le stesse, mantenute in essere, comporterebbero la violazione dei principi di risparmio e razionalizzazione.

La precisazione è d’obbligo. Infatti, dalla lettura del parere del Ministero dell’Interno, da cui siamo partiti, sembra che il limite di spesa vieti il reintegro.

Dal canto loro, anche le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con deliberazione n. 4/CONTR/2012[6], avevano già affermato il principio secondo cui “l’ente locale, in caso di reinternalizzazione di servizi precedentemente affidati a soggetti esterni, non possa derogare alle norme introdotte dal legislatore statale in materia di contenimento della spesa per il personale, trattandosi di disposizioni, di natura cogente, che rispondono a imprescindibili esigenze di riequilibrio della finanza pubblica per ragioni di coordinamento finanziario, connesse ad obiettivi nazionali ancorati al rispetto di rigidi obblighi comunitari”.

La deliberazione si riferiva al caso delle società in house, fattispecie, peraltro, totalmente diversa (soggetto di diritto privato) rispetto ad una unione di comuni (ente locale). Lo spunto è, comunque, interessante ancorché vi sia riportato che l’ente “non possa derogare” dalle limitazioni di spesa, non che vi sia il divieto di reintegro.

Quello che proprio non convince è la sintesi finale della precitata deliberazione n. 284/2012 SRCPIE/PAR della sezione regionale Piemonte della Corte dei Conti: “Il Comune potrà dunque riassumere il personale già trasferito all’Unione alle condizioni sopra richiamate e nel rispetto, in particolare, delle regole finanziario contabili in materia di contenimento delle spese di personale”.

Ribadiamo il nostro punto di vista: se una unione non funziona, se la prevista razionalizzazione non si è realizzata, se i costi sono ben superiori rispetto alle aspettative, se i servizi così garantiti non danno qualità ai cittadini … probabilmente è meglio tornare all’origine, ai singoli comuni. Ma, in tal caso, è impensabile che il limite di spesa di personale, costituisca un vincolo così forte da evitare ulteriore “spargimento di sangue”.

Il personale, tornerà nei propri enti. Se, come sopra riassunto, le cose sono state fatte bene, non ci saranno problemi. Diversamente, se le spese di personale sono complessivamente aumentate, non saranno rispettati i relativi tetti di spesa e scatterà, inevitabilmente, il divieto di assunzione nell’anno successivo come previsto dal comma 557-ter della legge 296/2006. Salvo, responsabilità maggiori, per chi ha agito senza preoccuparsi di mantenere la spesa di personale in un’ottica di consolidamento o, addirittura, di razionalizzazione.



[3] “Per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2008. Gli enti di cui al primo periodo possono procedere all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, ivi compreso il personale di cui al comma 558”.

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Un pensiero su “Reintegro del personale in un ente locale

  1. Marla dice:

    Quello che scrivi è del tutto logico e condivisibile nel caso di unioni create ex novo, ma che mi dici di una unione creata in luogo di una comunità montana? L’ente svolgeva più che altro funzioni delegate dalla regione; ora l’ente si prende carico anche di funzioni fondamentali dei comuni, ma con apporto di personale dai comuni. Il costo della struttura iniziale (quella della comunità montana) va comunque ribaltato sui comuni? o in parte anche sulla regione?

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