E’ morto il Mario. Lo ricordo così.
Camminava da casa sua verso il garage, nella casa vecchia, passando sulla strada sterrata. Mi chiamava sempre: Gianluca! Buongiorno, Mario.
Spesso stavo giocando a calcio. Contro il muro. Lui non teneva per la mia squadra e mi prendeva in giro. Ma alzavo le spalle, perchè era la mia squadra che vinceva sempre. Di ritorno, spingeva il motorino per tagliare il prato (sì, lo so che si chiama tosaerba, ma tra noi si diceva così). Un modello vecchissimo che non ha mai sbagliato un colpo. Mio papà ne avrà comprati dieci, mentre il Mario si affidava al suo mezzo da sempre. A volte mi chiamava nel suo giardino, dove, stupore per quell’età, mi soffermavo a giocare con la fontana a piccoli quadratini azzurri. Tra la nostra e la sua casa passava solo un filare di pini. Dalla finestra della camera gialla mi soffermavo sempre sul castello del Mario, arancione con l’aria austera da Transilvania. L’interno era di un fascino indescrivibile per un bambino. Innanzitutto c’era una sala dove non si poteva andare, aperta solo per le grandi occasioni. Ovviamente, come spesso accade, il suo corpo è stato esposto proprio lì. Sulla destra c’era invece la cucina, grandissima, con un enorme tavolo rotondo. Lì mi sono mangiato le migliori caramelle della mia infanzia. Per giungere alle camere c’era una scala ripidissima e così era anche quella che riscendeva al giardino. Da piccoli tutto sembra più grande e la casa del Mario era indiscutibilmente la più bella casa che io potessi conoscere. In un piccolo spazio accanto alla strada, teneva un filare, da cui usciva dell’uva squisita. A volte sono stato sgridato perchè con la bicicletta rompevo qualche tralcio durante le mie gincane. Ecco il Mario. Passava e ripassava accanto ai miei spazi. A volte a piedi, a volte in macchina. Il suo sorriso c’era sempre e sono convinto che faccia parte di me.