Come sappiamo, l’art. 3 comma 101 della legge 244/2007 ha previsto che “per il personale assunto con contralto di lavoro a tempo parziale, la trasformazione del rapporto a tempo pieno può avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni”.
In tutti questi anni, la disposizione, è stata interpretata, giustamente, in questo modo: la trasformazione del rapporto di lavoro di chi in origine era stato assunto a tempo parziale, comporta l’erosione degli spazi assunzionali creatisi a seguito di turn-over.
Come funziona, però, ora che comuni e regioni applicano le regole dell’art. 33 del d.l. 34/2019 (decreto Crescita)?
Le cose mi sembrano molto semplici:
A. ENTI CHE AL MOMENTO ATTUALE CONTINUANO AD AVERE REGOLE DI TURN-OVER (Unioni, Consorzi, Comunità Montane, Province, ecc. ecc.): per questi enti è tutto come prima. Quindi, la trasformazione “mangia” gli spazi del turn-over.
B. ENTI CHE SONO NEL NUOVO REGIME ASSUNZIONALE (Comuni e Regioni): per questi enti, bisogna rilevare che una trasformazione da part-time a tempo pieno (ma anche un semplice incremento di ore) non fa che aumentare la spesa di personale, la quale deve essere compatibile con i parametri del rapporto tra spese di personale ed entrate correnti al netto del FCDE e dei relativi valori soglia. Quindi, la cosa è davvero facile: un aumento del numero di ore anche fino al tempo pieno è un costo di personale in più per l’ente che deve essere coerente con i propri obiettivi. Ovviamente, questo vale anche per i dipendenti assunti in origine a tempo pieno che poi sono transitati a tempo parziale ed ora chiedono (avendone pure il diritto nei casi previsti dal CCNL) di tornare a tempo pieno: ciò porterà ad un incremento dei costi di cui tenerne conto nei propri stanziamenti di bilancio e previsione di spesa di personale.
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