L’istituto della mobilità continua a lasciare dubbi alle autonomie locali. Le incertezze riguardano sia gli aspetti giuridici ma anche gli aspetti correlati alla spesa.
La riforma Brunetta ha confermato quanto previsto dall’articolo 30 del decreto legislativo 165/2001 sull’obbligo di procedere con la mobilità prima di ricoprire posti vacanti in dotazione organica. Tutto ciò è contenuto nel comma 2-bis che non sembra lasciare spazio ad una scelta discrezionale sottolineando l’obbligatorietà di cui al comma 1. Lo stesso è stato modificato con la previsione di un avviso contenente i posti vacanti da ricoprire con l’istituto. L’amministrazione è chiamata a identificare i criteri attraverso i quali si procederà alla scelta dei candidati. Tale azione è destinata a ripercuotersi in una modifica del regolamento sull’ordinamento degli uffici dei servizi o sul regolamento per l’accesso dall’esterno.
Alle autonomie rimangono però due dubbi. Il primo è la possibilità di stabilire autonomamente quali posti ricoprire con concorso dall’esterno e quali invece tramite mobilità. A tal proposito si sottolinea che l’obbligo è ancora contenuto nel comma 2-bis il quale utilizza il verbo “devono”. La seconda questione riguarda la sopravvivenza o meno della cosiddetta mobilità per interscambio ovvero la possibilità che due amministrazioni si accordino per cedere e ricevere contemporaneamente dei dipendenti da inserire nelle relative strutture. Questione quanto mai delicata che in attesa di una lettura interpretativa della norma merita estrema cautela. Se da una parte il comma 2-bis obbliga le procedure di mobilità esclusivamente sui posti vacanti della dotazione organica (e quindi tale situazione non ricorre in caso di interscambio), dall’altra parte non si può non evidenziare che il primo comma prevede l’avviso pubblico per tutte le forme di passaggio tra enti.I dubbi si spostano a questo punto sulla questione delle spese e delle limitazioni sulle assunzioni. La Sezione autonomie della Corte dei conti nella Deliberazione n. 21 dello scorso anno ha affermato che la mobilità non costituisce cessazione così come in precedenza era stato ritenuto anche dal Ministero dell’interno e dalla Funzione pubblica. Si tratta di un orientamento normali consolidato e costante. La particolarità risiede nel fatto che mentre la mobilità non è considerata cessazione, la stessa viene considerata assunzione a tutti gli effetti. Medesimo istituto quindi a due facce diverse che crea ancora più confusione negli operatori degli enti locali. Di recente sia la Sezione regionale del Veneto che quella del Piemonte hanno affermato che il divieto di assunzione per chi non ha rispettato il patto dei sensi dell’articolo 76 del Decreto legge n. 112/2008 si applica anche all’istituto della mobilità considerandola di fatto come nuova assunzione a tutti gli effetti. I magistrati piemontesi hanno di recente affrontato addirittura un quesito relativo alla mobilità per interscambio. Il comune richiedente non avendo rispettato il patto ipotizzava la possibilità di procedere in tal senso visto che non ci sarebbe stato alcun incremento della spesa, ma la sezione regionale ha bloccato tale possibilità specificando che appare pertanto coerente con il quadro normativo sopra richiamato la preclusione dei trasferimenti per mobilità, a prescindere da ogni valutazione in merito alle variazioni generate sulla spesa complessiva, ovvero in ordine all’essere gli stessi operazioni neutre per la finanza pubblica. Come si può ben vedere aspetti giuridici e finanziari della mobilità si intrecciano continuamente in interpretazioni sulle quali serve urgentemente un chiarimento ufficiale.