La delega delle funzioni dirigenziali

La possibilità di delegare le funzioni dirigenziali ha sempre affascinato gli operatori degli enti locali. Con il mio collega ed amico Giuseppe Debenedetto abbiamo trascorso ore discorrendo sulla questione. Nel volume “Il responsabile dei tributi” edito da Publika, lui l’ha riassunta egregiamnete come segue.

 

La possibilità o meno che il Dirigente possa “delegare” alcuni compiti

Per gli enti di maggiori dimensioni, ove le posizioni organizzative coesistono con la dirigenza, si pone il problema del ruolo da attribuire ai dipendenti inquadrati nelle posizioni organizzative (cat. “D”), ed in particolare se il dirigente può attribuire a questi l’esercizio di determinate funzioni gestionali, attraverso il ricorso all’istituto della “delega”.

Occorre anzitutto evidenziare che per principio generale (unanimemente condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza) il soggetto preposto a un organo o a un ufficio non può delegare ad altri l’esercizio delle proprie funzioni se non nei casi in cui norme specifiche espressamente lo consentano.

Posta in tal modo la questione, va subito detto che l’attuale situazione normativa non consente la delega delle funzioni dirigenziali poiché nell’ordinamento degli enti locali non sono presenti norme specifiche di tal genere ([1]), e men che meno tale possibilità può essere rinvenuta nel  contratto collettivo di lavoro, ove si consideri che un atto di natura privatistica può solo disciplinare lo status giuridico ed economico del lavoratore, ma non può in alcun modo stabilire le competenze degli organi (essendo tale compito riservato alla legge dall’articolo 97 della Costituzione).

Infatti, il contratto collettivo non afferma mai che le posizioni organizzative svolgono funzioni dirigenziali, né si può ritenere che il conferimento dell’incarico di posizione organizzativa ai dipendenti di categoria “D” comporti automaticamente la “delega” di funzioni, sicché tali figure possono essere individuate per l’assunzione di elevata responsabilità di prodotto e di risultato, non per adottare al posto dei dirigenti i provvedimenti assegnati dalla legge alla loro competenza ([2]).

La tesi secondo la quale la delega è legittima se attribuita in base ad espressa previsione normativa, ed entro i limiti previsti, trova conferma nell’art. 2 della legge 15/7/2002 n. 145 che, nell’integrare il d.lgs. 165/2001 nella parte relativa alle “funzioni dei dirigenti”, ha sancito la possibilità di delegare alcune competenze dei dirigenti, entro i limiti indicati (specifiche e comprovate esigenze di servizio, periodo di tempo determinato, atto scritto e motivato).


[1] Infatti, l’art.107 d.lgs. 267/2000, nell’attribuire le competenze ai dirigenti, non prevede nei loro confronti il potere di delegare le proprie funzioni ai dipendenti senza qualifica dirigenziale. Inoltre, il comma 4° del citato art. 107 prevede che le competenze attribuite ai dirigenti possono essere derogate soltanto ad opera di specifiche disposizioni normative.  Va aggiunto che neanche la legge 241/90 può fondare la delegabilità: una cosa, infatti, è la responsabilità del procedimento, cosa diversa è il potere di adottare i provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno; peraltro, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e) della legge n. 241/1990, il responsabile del procedimento adotta il provvedimento finale solo “ove ne abbia la competenza” (cfr. TAR Veneto, 28/4/2008 n. 1136).[2] Tuttavia, è stato da alcuni ritenuto che non sussistono ostacoli insormontabili alla delega delle funzioni dirigenziali a titolari di posizioni organizzative, a condizione che questa facoltà sia espressamente riconosciuta al dirigente nell’ambito dello statuto e del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi (L. Bisi, Area delle posizioni organizzative e delega di funzioni dirigenziali, in Rivista del personale dell’ente locale, n. 11/99, p. 522). 

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