La Spending Review e i Piani di razionalizzazione

Chi segue il mio sito, sa quanto ho approfondito la questione dei piani di razionalizzazione e dei relativi risparmi. E continuerò a farlo perché si tratta di una sfida importantissima per la pubblica amministrazione, enti locali inclusi. Con Augusto Sacchi abbiamo pure avuto la possibilità di fare insieme dei corsi di formazione e di contribuire a sviluppare dei veri e propri Piani in alcune amministrazioni.

In questi giorni, seguo, da lontano, ma con interesse, il dibattito in corso in merito alla possibilità di incrementare le risorse decentrate attraverso l’applicazione dell’art. 16, commi 4 e 5, del d.l. n. 98/2011 (cd “Piani Razionalizzazione”), anche dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 95/2012 e relativa legge di conversione n. 135/2012.

Una prima ipotesi – che definiremmo “possibilista” – sostiene che l’applicazione dei PdR rappresenti l’unica possibilità rimasta – in regime di blocco e taglio ex art. 9, comma 2-bis del d.l. n. 78/2010 – alle amministrazioni per implementare le risorse da riservare al personale  dipendente. Tale principio – secondo chi sostiene tale tesi – sarebbe ulteriormente rafforzato dall’art. 5, comma 11-quinquies, della Spending Review (testo allegato), laddove si prevede che al personale (anche dirigenziale) più meritevole, comunque non inferiore al 10% della totalità, venga attribuita una maggiorazione di trattamento accessorio compresa tra 10 e 30% di quanto percepito mediamente dai dipendenti delle stesse categorie.

L’altra ipotesi – che definiremmo “impossibilista” – sostiene che, siccome i PdR possono essere applicati sui risparmi “aggiuntivi” realizzati negli enti, al di fuori – e al di sopra – di quelli obbligatori per legge, la strada da percorrere risulti essere sempre più impervia e stretta. Quasi “impossibile” appunto. In pratica il ragionamento sviluppato è più o meno questo “Più aumentano le norme di legge che impongono i tagli e più sarà difficile organizzare i PdR”.

 Premesso che entrambe le ipotesi prospettate contengono degli elementi di indubbia verità e fondatezza, mi pare si possa sostenere che i Piani di Razionalizzazione, inseriti nel d.l. n. 98/2011, siano, effettivamente e sempre più, l’unico strumento lecito e possibile da attivare per:

1)     razionalizzare, in modo concreto e progressivo, le spese degli enti;

2)     puntare al coinvolgimento del personale dipendente, senza la partecipazione del quale molte misure sarebbero inattuabili;

3)     trovare in azienda quelle risorse aggiuntive (ora “nascoste”  e spesse volte usate male ed impropriamente) che possano consentire di mettere “carburante” fresco nel delicato processo di misurazione e valutazione dei dipendenti, realizzando quella differenziazione di trattamento accessorio, sempre invocata a parole e sempre elusa nei fatti da tutti gli attori coinvolti.

D’altro canto, risulta indubitabile che il legislatore “alzando l’asticella dei tagli”, nei fatti , renda meno praticabile la strada della Spending Review locale, prevista nel decreto del luglio 2011 e le conseguenti ricadute nel trattamento accessorio del personale.

Nel valutare complessivamente il quadro di riferimento, però, occorre tenere a mente anche due recenti novità, che vanno nella direzione opposta (alleggerimento dei vincoli), impattanti ai fini del nostro ragionamento.

La prima, è la modifica alle norme sulle assunzioni per i comuni soggetti a patto (percentuale di turn over aumentata da20 a40%). La seconda, è la sentenza della corte costituzionale n. 139/2012, in merito ai tagli ex art. 6 d.l. 78/2010 (risparmio da conseguire nel complesso, anziché voce per voce). In pratica, se si alleggeriscono i vincoli di legge, è più facile realizzare un serio Piano di Razionalizzazioni. E comunque, la nostra impressione, è che di spesa improduttiva da tagliare nelle amministrazioni ce ne sia ancora. In molti casi anche molta. Se uno vuole; se tutti – a cominciare dagli organi politici, dai dirigenti e dai responsabili dei servizi – volessero!

 

D.l. n. 95/2012, art. 5

comma 11-quinquies. Ai dirigenti e al personale non dirigenziale che risultano più meritevoli in esito alla valutazione effettuata, comunque non inferiori al dieci per cento della rispettiva totalità dei dipendenti oggetto della valutazione, secondo i criteri di cui ai commi 11 e 11-bis è attribuito un trattamento accessorio maggiorato di un importo compreso, nei limiti delle risorse disponibili ai sensi dell’art. 6, comma 1, del decreto legislativo 1° agosto 2011, n. 141, tra il 10 e il 30 per cento rispetto al trattamento accessorio medio attribuito ai dipendenti appartenenti alle stesse categorie, secondo le modalità stabilite nel sistema di cui all’articolo 7 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. La presente disposizione si applica ai dirigenti con riferimento alla retribuzione di risultato.

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