Corte Costituzionale – Sentenza n. 223/2012

Ho scritto quanto sotto prima della notizia che il Governo ha già messo mano alla questione sollevata dalla Sentenza n. 223/2012.

Ecco la notizia che è destinata a cambiare “tutto”:

Si legge quanto segue dal comunicato del Consiglio dei Ministri n. 51 del 26 ottobre 2012:
“Il Consiglio ha … approvato un decreto legge che, in attuazione della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 2012, ripristina la disciplina del trattamento di fine servizio nei riguardi del personale interessato dalla pronuncia. Per quanto riguarda le altre parti della sentenza della Consulta, il Consiglio ha stabilito che si procederà in via amministrativa attraverso un DPCM ai sensi della legislazione vigente”.
 
Quello che segue non ha quindi più molto senso. Aspettiamo comunque di leggere il contenuto della disposizione.
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Continuano ad arrivare diverse mail di richiesta di chiarimento sulla Sentenza n. 223/2012 della Corte Costituzionale.

Riporto di seguito un estratto del primo commento che ha predisposto Personale News.

Aggiungo qualche considerazione più operativa, sottolineando che si tratta davvero di parole ad alta voce

– Nel mese di novembre non applicare più le ritenute in capo ai dipendenti, ma versare il contributo a totale carico dell’ente (se questo è vero dal punto di vista giuridico, sulle concrete modalità operative è però necessario un chiarimento da parte dell’Inps-Inpdap);

– Nel frattempo prevedere le risorse di bilancio per la corresponsione degli arretrati. Tale maggior spesa dovrà essere reperita e stanziata in occasione delle variazioni di bilancio per l’assestamento (da approvare entro il 30 novembre).

– A dicembre corrispondere gli arretrati dal 1.1.2011 (la giustificazione di attendere a dicembre è dovuta proprio al fatto che l’ente deve reperire le risorse e quindi attendere l’assestamento di bilancio).

Fatto questo, si entra nel campo della SPERANZA o della PREGHIERA con dita incrociate incorporate:

– Speriamo che il Governo faccia qualcosa;

– Speriamo che la RGS o l’Inps Ex Inpdap dicano qualcosa;

– Speriamo di non sforare le spese di personale (che vietano poi le assunzioni e gli incrementi di parte variabile del fondo).

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Ecco il primo commento di Personale News a cura di Mario Ferrari.

Innanzi tutto evidenziamo che la parte di sentenza che dichiara l’incostituzionalità dell’articolo 12, comma 10, è quello che si definisce di tipo “additivo”. Le sentenze “additive”, sono quelle che colpiscono la norma nella parte in cui è carente di una previsione[1], di conseguenza la sentenza aggiunge alla norma qualcosa che il legislatore aveva omesso.

La norma prevedeva: “Con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall’articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento”. La norma pertanto stabiliva il passaggio al regime di trattamento di fine rapporto (TFR) pro-quota, a partire dal 1° gennaio 2011, di tutto il personale che si trovava ancora in regime di trattamento di fine servizio.

In particolare nel ricorso presentato si esponeva che la “estensione del regime di cui all’art. 2120 cod. civ. (ai fini del computo dei trattamenti di fine servizio) sulle anzianità contributive maturate a fare tempo dal 1º gennaio 2011, con applicazione dell’aliquota del 6,91%, avrebbe dovuto comportare il venire meno della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, costituita dall’80% dello stipendio”[2].

È noto che l’allora INPDAP non ritenne avvenuto tale effetto abrogativo e pertanto non emanò alcuna disposizione che autorizzasse le amministrazioni a sospendere il prelievo da riversare nelle casse dell’ente previdenziale[3].

Si deve ricordare che su tale materia vi era già stata una pronuncia giurisprudenziale favorevole ai dipendenti[4], il TAR Calabria aveva accertato l’illegittimità, a decorrere dal 1° gennaio 2011, del perdurare del prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione (sin qui operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita), e aveva condannato l’amministrazione intimata alla restituzione degli accantonamenti già eseguiti, con rivalutazione monetaria ed interessi legali.

La Corte costituzionale nella sua sentenza osserva che “fino al 31 dicembre 2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60% sull’80% della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50%, calcolato sempre sull’80% della retribuzione. La differente normativa pregressa prevedeva dunque un accantonamento determinato su una base di computo inferiore e, a fronte di un miglior trattamento di fine rapporto, esigeva la rivalsa sul dipendente di cui si discute. Nel nuovo assetto dell’istituto determinato dalla norma impugnata, invece, la percentuale di accantonamento opera sull’intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenimento della rivalsa sul dipendente, in assenza peraltro della ‘fascia esente’, determina una diminuzione della retribuzione e, nel contempo, la diminuzione della quantità del TFR maturata nel tempo”.

Quindi conclude che, consentendo “… allo Stato una riduzione dell’accantonamento, irragionevole perché non collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato e perché – a parità di retribuzione – determina un ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro, la disposizione impugnata viola per ciò stesso gli articoli 3 e 36 della Costituzione”.

A questo punto occorre una doverosa precisazione, la sentenza dichiara l’illegittimità della norma “nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032”. Tale norma è specifica per la “indennità di buonuscita”[5] del personale statale. Per gli enti locali l’istituto è denominato “indennità premio di servizio”[6] e la norma regolatrice è la legge 8 marzo 1968, n. 152, che, all’articolo 11, fissa la ritenuta nella medesima percentuale.

Una interpretazione letterale della sentenza potrebbe fare ritenere che essa sia applicabile ai soli dipendenti ai quali si applica la legge 1032/1973. Considerando che gli effetti sono i medesimi, anche se le norme sono costruite in modo differente[7], è da ritenere che la sentenza della Corte costituzionale elimini la trattenuta anche per i dipendenti in regime di indennità premio di servizio.

Per i dipendenti già in regime di trattamento di fine rapporto TFR le considerazioni sono ancora differenti. Per questi lavoratori non dovrebbe venir più applicata la riduzione della retribuzione prevista dal d.p.c.m. 20 dicembre 1999[8]. Ciò come effetto indiretto della sentenza, infatti la riduzione ha il suo fondamento nell’evitare discriminazioni stipendiali tra nuovi e vecchi iscritti.

Come si può vedere i dubbi sono tanti e, anche quando saranno dissipati, dal punto di vista operativo questa parte della sentenza comporta adempimenti complessi in quanto vi è da dirimere il rapporto con l’ente previdenziale.

Se verranno confermati dall’ente previdenziale gli effetti della sentenza nei confronti dei dipendenti degli enti locali, il prelievo del 2,50% sull’80% della retribuzione imponibile (o la riduzione del 2% della retribuzione) non può più essere effettuato. Per quanto riguarda il rimborso ai dipendenti della trattenuta effettuata a partire dal gennaio 2011, prima di provvedere occorrerà sicuramente attendere qualche chiarimento da parte dell’INPS gestione ex-INPDAP, per quanto attiene le modalità di recupero o di compensazione dei versamenti effettuati.

Tutto questo sempre che il Governo non trovi una soluzione legislativa al problema finanziario creato dalla Consulta, come previsto nei primi commenti apparsi sulla stampa[9].



[1] Per i cultori del diritto costituzionale segnaliamo un significativo lavoro sulle sentenze additive della Corte costituzionale disponibile al link: http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU199_Omissione_legislatore.pdf

[2] Tale trattenuta viene operata a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita, ai sensi dell’art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032.

[3] Nella circolare n. 17 dell’8 ottobre 2010, mediante la quale l’INPDAP forniva chiarimenti in merito alle novità introdotte dal d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, nulla si diceva in merito alla sospensione della trattenuta.

[4] TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, sentenza n. 53 del 18 gennaio 2012.

[7] Secondo l’articolo 11 della legge 152/1968 non vi è una “rivalsa”, ma il contributo è “ripartito tra enti e iscritti”.

[8] Ricordiamo che tutto il personale assunto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000, è già in regime di trattamento di fine rapporto (TFR) e ad esso non si applica il contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento della base retributiva previsto dalle norme sulla IBU/IPS, ma si applica una riduzione della retribuzione lorda “in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso e contestualmente viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali e dell’applicazione delle norme sul trattamento di fine rapporto, a ogni fine contrattuale nonché per la determinazione della massa salariale per i contratti collettivi nazionali” (art. 1, del d.p.c.m. 20 dicembre 1999).

[9] Cfr. Cifoni Luca, “Grana Tfr, due miliardi da restituire ma ora il governo prende tempo”, Il Mattino, 14 ottobre 2012, p. 7. Cifoni Luca, “In arrivo norme anti-Consulta su stipendi e Tfr degli statali”, Il Messaggero, 15 ottobre 2012, p.2-3.

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Un pensiero su “Corte Costituzionale – Sentenza n. 223/2012

  1. donato benedetti dice:

    L’articolo del collega Mario Ferrari è sicuramente ben calibrato. L’unico punto debole e non ben sostenibile giuridicamente è l’affermazione in ordine alla quale è da ritenere che la sentenza della Corte costituzionale elimini la trattenuta anche per i dipendenti in regime di indennità premio di fine servizio.
    La dichiarazione di incostituzionalità non può applicarsi in via “estensiva”, poichè annulla le sole modalità applicative delle norme in ordine alle quali il giudizio è stato sollevato. Certo è che in un tale clima di incertezza applicativa delle disposizioni di legge, ogni osservazione non appare peregrina, laddove appaia che gli effetti della sentenza producano problemi interpretativi anche in ordine ad istituti previdenziali con finalità analoghe all’indennità di buonuscita, quali l’i.p.s. ed il t.f.r.. Auguriamoci che il D.L. del Governo non crei ancora più incertezza normativa : quid iuris per coloro che nel frattempo sono già cessati dal servizio nel periodo dall’1/1/2011 alla data di pubblicazione della sentenza, ed erano in regime di indennità di buonuscita ( ed I.P.S. ) fino al 31/12/2010 ?
    Come diceva una vecchia canzone del compianto Lucio Battisti : “…lo scopriremo solo vivendo… “.
    Grazie all’amico Bertagna per il valido aiuto che ci fornisce con i suoi collaboratori.

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