La nonna Gina

Ciao nonna.

Hai cento anni. Nel 1912 i tuoi occhi vedono la luce. Cento anni fa. Che spavento. Ma quante ne hai viste? Due guerre, certo. Ma soprattutto il radicale cambiamento del mondo in cui viviamo. Pazzesco pensarci anche solo un attimo.

Ti scrivo. Ti racconto. Ti dico di me con te e di te con me. Tu sai, ma con i tuoi occhi. Ecco i miei.

Sei la nonna di Mantova che ha radici a Mori, Ravazzone per la precisione. Ed è in quei luoghi che ti vedo. Nella tua casa di fianco al palazzo ducale, nella casa in montagna dove abbiamo trascorso tante estati insieme. Non riesco a pensarti da altre parti. E così sia.

Sono piccolissimo. Ricordo il pavimento, il lungo corridoio, l’immensa cucina con il nonno ‘Milio seduto capotavola. Tu sei lì a fare la spola tra i fornelli e dove siamo seduti noi. Ci servi. Mangi sempre per ultima. Finisci con una mela. Che dividi con tutti. Mentre prepari il pranzo o la cena chiedi al nonno di dire il rosario con te. Uno dei tre che reciti ogni giorno. La casa si riempie del ronzio delle preghiere. Tu lo dici bene, il nonno lo dice brontolando troncando tutte le finali. Io sono su una delle due poltrone della sala. Lì sulla destra, appena dentro la porta a vetri.

(…)

D’estate vengo con te in montagna, nella casa della zia. Là mi piace tantissimo. Intanto tu e il nonno siete solo per me. Nel fine settimana vengono a trovarci il papà e la mamma, ma per il resto del tempo siamo solo noi. Che belle le sere in cucina, sul tavolo rosso, con il nonno a giocare a carte mentre tu sistemi e metti in ordine. E anche lì il profumo diventa indimenticabile. Sai qual è la pastasciutta che mi piace più di tutte? Quella che fai tu nella casa di montagna. Non conta il tipo e il condimento. È quel profumo che la rende unica e sarà così per sempre, anche quando me la farai da grande e verrò con i miei amici. E poi quando mi chiami alla finestra: Luca! C’è pronto! E tutto attorno è silenzio, perché siamo in mezzo ai pini, ai margini del bosco. La tua voce che mi fa correre a casa. Il tuo suono, che mi chiama Luca. Ogni tanto te ne vai al crocefisso di legno poco sopra la casa. Saranno cinquanta metri, che tu fai in silenzio portando fiori e borbottando preghiere. Io ti vedo e continuo a giocare; a volte mi prendi su e mi insegni ad andare oltre a questa terra, a questi piedi. Alla sera, mentre mi addormento, ti sento di là che lavi i piatti. Che suono, che melodia.

(…)

Negli anni delle superiori ci vediamo due volte alla settimana, quando a scuola ho i pomeriggi. Vengo con Giovanni perché mi dici: cosa vuoi che sia buttare giù un piatto di pasta in più! Ci guardiamo insieme Sentieri e Beautiful mentre continui, come sempre, a tagliare la mela e offrirla a tutti noi. A Natale sei tu che vieni da noi. E inizi a venire più spesso, perché le gambe iniziano a tremare, le mani a farsi pesanti, la schiena a piegarsi sempre più. Così stai un po’ conla Franca, mia mamma che ti porta in giro per il giardino, soprattutto a trovare la tua madonnina di Lourdes. Io faccio l’università e provo a dirti delle cose. Ma tu non mi ascolti, fai come vuoi tu. Ti chiedo perché stai in piedi a pregare fino alle due di notte; ma vai a letto, ti dico. Tu mi spieghi che preghi a quell’ora perché siccome tutti dormono, ci sono meno invocazioni che salgono e quindi ti ascoltano meglio. Una volta mi hai detto che preghi a quell’ora perché così Gesù si sente meno solo. Io ti dico: nonna, non è così, c’è il fuso orario. Da noi è notte, ma da un’altra parte del mondo è giorno e staranno sicuramente pregando! Ma la mia razionalità non ti sfiora e vai avanti imperterrita. Di fronte a questo non posso che arrendermi.

(…)

Piano piano, con il tempo che passa, inizi a non riconoscere più le persone che ti stanno attorno. Poi ci confondi. Poi ci abbandoni sempre più. Ormai ti alzi sempre meno. Mangi poco.

Ora, succede. Tu mi vuoi vedere. Così mi dicono. Io sono ancora fermo alla razionalità di tanti anni fa. Non vengo. Non oggi. Forse domani. Poi arrivo, spinto. Sei lì. Non mi guardi, perché i tuoi occhi non mettono più a fuoco. Non mi senti, perché le tue orecchie sono sorde da qualche anno. Non mi tocchi, perché le tue mani sono troppo deboli per muoversi. Stai lì. Respiri. A volte pesantemente. Ti faccio una foto insieme alle tue due figlie, mia mamma e mia zia. A me sembri in forma. Ma dopo poche ore muori. Ed io ti scrivo queste parole. Qualche giorno fa mi hanno detto di fare attenzione a quando declino i verbi. Ecco: per te li ho usati tutti al presente. Ciao nonna.

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3 pensieri su “La nonna Gina

  1. Cirano dice:

    Ho visto il post del “Giullare”, ho pensato che potesse essere tua nonna, credo si sapere cosa provi, anch’io ho perso una nonna “speciale” con la quale sono cresciuto.
    Pare brutto dirlo ma è stato un distacco più forte da quello che ho avuto per la perdita di mio padre!
    Ti abbraccio. Cirano

  2. ALESSIA dice:

    ciao Luca,
    con questo racconto mi hai proprio commosso.
    Mi hai ricordato la fragilità umana che si mescola con i problemi della vita, con le corse, con gli affetti, con le piccole vere grandi gioie,
    grazie

  3. Giovanni dice:

    Ciao Luca….bellissimo racconto….per una persona speciale….
    mi unisco anch’io al saluto alla nonna….

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