Ogni tanto se ne parla. E finchè se ne parla va tutto bene. Poi, però, bisogna fare i conti con la realtà delle norme vigenti.
Sto parlando di una questione molto semplice dal punto di vista dell’esposizione: può un’amministrazione decidere autonomamente di trasformare il rapporto di lavoro di un dipendente a part-time a tempo pieno? La risposta è altrettanto immediata: NO.
Un’ottima ricostruzione della vicenda giunge dalla sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, 18 maggio 2022, n. 15999.
La pubblica amministrazione non ha il potere di revocare unilateralmente, per esigenze sopravvenute, l’autorizzazione al part-time del lavoratore (tanto per il passaggio al tempo pieno, quanto per le variazioni di consistenza oraria), dal momento che la concessione del tempo parziale (su richiesta del dipendente) non costituisce esercizio di un potere di natura amministrativa, ma di una discrezionalità di diritto privato.
La trasformazione attiene alla gestione del rapporto di lavoro e, dunque, non può essere invocato quel generale potere di revoca delle autorizzazioni per esigenze pubbliche sopravvenute che concerne il provvedimento amministrativo.
Questo significa che queste vicende contrattuali non possono prescindere dal consenso del dipendente.
Anche qualora esistesse una norma che legittima il potere unilaterale dell’ente (in tal senso si rammenta la vigenza dell’art. 16 della legge 183/2010, comunque circoscritta ad un ambito temporale di centottanta giorni), l’eventuale rifiuto del dipendente non può dare origine a licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo; quindi, non ne scaturisce alcuna violazione di natura disciplinare.
Solo al dipendente originariamente assunto con contratto a tempo pieno e successivamente trasformato in tempo parziale è riconosciuto il diritto di precedenza per il rientro a full time.