Nella causa C-218/22, l’Avvocato Generale avanti la Corte di Giustizia dell’Unione europea – nella controversia rimessa dal Tribunale di Lecce (contenzioso relativo a dipendenti comunali) per stabilire in che misura la direttiva concernente l’orario di lavoro vieti la monetizzazione delle ferie annuali retribuite, vale a dire la conversione in una somma di denaro di diritti non goduti alle ferie annuali retribuite – ha rassegnato le proprie conclusioni con atto dell’8 giugno 2023 (consultabile a questo link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62022CC0218&qid=1686897235793&print=true), dove ha formulato le seguenti conclusioni:
“1) L’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, non osta a una normativa nazionale che prevede il divieto di monetizzazione delle ferie annuali retribuite non godute al termine del rapporto di lavoro, quando:
– il divieto di richiedere l’indennità finanziaria non riguarda il diritto alle ferie annuali maturate nell’anno di riferimento in cui si ha la cessazione del rapporto di lavoro;
– il lavoratore ha avuto la possibilità di fruire delle ferie annuali retribuite nei precedenti anni di riferimento, anche nel corso del periodo minimo di riporto;
– il datore di lavoro ha incoraggiato il lavoratore a fruire delle ferie annuali retribuite;
– il datore di lavoro ha informato il lavoratore che le ferie annuali retribuite non godute non possono essere cumulate per essere sostituite da un’indennità finanziaria al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
2) L’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88
impone che il datore di lavoro dimostri che ha posto il lavoratore in condizione di fruire delle ferie, che lo ha incoraggiato in tal senso, che lo ha informato dell’impossibilità di una monetizzazione al momento della cessazione del rapporto di lavoro e che, ciò nonostante, il lavoratore ha scelto di non fruire delle ferie annuali.
Qualora il datore di lavoro non lo abbia fatto, il lavoratore dovrebbe essere risarcito”.