Le assenze e la liquidazione della performance

Quando si parla di performance e dei criteri per erogarla spesso si fa riferimento a parametri correlati all’effettiva presenza in servizio. La sintesi è scontata: se un dipendente non è in servizio produce (da cui il precedente termine “produttività”) meno di quello che è al lavoro.

Si tratta di un criterio limpido, chiaro e credo anche pienamente condivisibile. Di una logica schiacciante, direi.

Il problema, però, non sta nel principio quanto nella sua applicazione concreta. Infatti, il più delle volte, nei contratti integrativi prendono vita tutta una serie di esclusioni scritte più o meno così: “La performance viene erogata tenendo conto dell’effettiva presenza in servizio. Si considera effettiva presenza in servizio…” e a questo punto segue un elenco più o meno infinito di eccezioni, a partire dalle assenze per maternità o per i permessi della legge 104/1992.

Insomma, giocando con le parole, la performance si eroga anche in base all’assenza dal servizio, ma ci sono assenze che sono meno assenze e quindi più presenze di altre.

Il Tribunale di Roma con la sentenza n. 7785/2023 ha rimarcato la questione: perché solo certe assenze vengono considerate valide ai fini dell’erogazione della performance? Un ente aveva considerato come presenza in servizio solo i permessi di cui al comma 6 dell’art. 33 della legge 104/1992 e non anche quelli del comma 2 e 3. Pertanto il tribunale, giustamente, si chiede: come mai solo alcune assenze risultano tutelate? La finalità della norma è la stessa in tutti i casi.

Ed è qui che bisogna fare un salto, guardare le cose da un altro punto di vista, staccarsi dalla 104, dalla maternità o da ogni altra norma speciale: se si decide in contrattazione che fa performance chi è in servizio, ogni assenza, di qualsiasi natura, non è presenza.

È talmente evidente che è sconcertante vedere ancora oggi contratti integrativi che prevedono un elenco infinito di esclusioni dall’elenco delle causali che comportano la riduzione dei compensi di performance. Elenco infinito, ma soprattutto arbitrario.

Lo ha deciso tu con i sindacati: sei in servizio, produci. Sei assente, non produci. Perché è così difficile?

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6 pensieri su “Le assenze e la liquidazione della performance

  1. Federico dice:

    Il problema, sollevato da molti , è che il concetto di performance sarebbe prevalentemente ancorato al risultato raggiunto più che dal tempo occorrente per raggiungerlo. Di conseguenza, salvo casi di macroscopica illogicità della disposizione del contratto decentrato, risulta particolarmente difficile in sede negoziale ancorare il quantum spettante al dipendente al tempo lavorato. Da qui nascono, probabilmente, tali soluzioni negoziali.

  2. alessandro gugliotta dice:

    A mio parere, non è affatto vero – almeno in assoluto – che chi è più presente più produce. Ciò può valere per il lavoro ordinario, ove misurabile nella stretta correlazione tempo-prodotto (e quanti enti ne sarebbero realmente capaci?); non per il risultato, che dipende da moltissimi fattori: competenza, capacità, abilità, impegno, lavoro di gruppo e problem solving, ecc. Tant’è che i meccanismi incentivanti servono a premiare il merito, non la quantità di lavoro. L’ esclusione della partecipazione ad incentivi a causa di assenze deve essere legata esclusivamente, a mio parere, alla necessità di evitare situazioni abnormi o illogiche, sicchè, stabilendosi ciò convenzionalmente, può dirsi che senza un minimo di presenza non è possibile raggiungere i risultati prefissati. Anzi: chi lavora meno è si sforza di produrre allo stesso modo o di più deve essere ancor più apprezzato.

  3. luca dice:

    In realtà, aveva molto senso escludere dal novero delle assenze ai fini della performance, il disabile grave (art. 33 comma 3 legge 104/92). Capisco che in un’ottica manageriale vincono solo i più forti ed i più ammanicati ed i più deboli e fragili debbano essere emarginati ovvero non considerati ma viva Dio esiste ancora l’art. 3 della Costituzione
    A proposito, vi siete mai chiesti come mail il disabile ha diritto alla riserva di fatto solo nei bassi profili (b e c, seconda area ecc) e mai nelle elevate qualifiche?
    Perchè per l’italietta il disabile può solo fare l’usciere o il centralinista.

  4. Alberto dice:

    Effettivamente se è performance… le assenze: tutte, contano.
    Nel caso contrario sarebbe come ammettere che chi è meno assente “spalma” la sua prestazione in un arco temporale maggiore, mentre chi è assente nei giorni di presenza “recupera”. E non credo sia così; la performance è un istituto aggiuntivo che come tale deve essere oggettivo e non spalmato a pioggia come spesso si vol fare per non offendere o creare malcontento. Per disabili, fasce deboli, malattie croniche, etc… ci sono altre tutele…
    E per carità, smettiamola di dire che un disabile può fare solo l’usciere e il centralinista, perchè allora tutti noi siamo disabili visto che non possiamo fare il pilota di F1, di un caccia militare o l’astronauta, etc… per incapacità fisiche.
    E non perdiamo di vista l’interesse aziendale di dover premiare chi partecipa di più alla produzione e/o alla risoluzione di problemi.

  5. Alberto dice:

    Anche perchè, ricordiamo che non tutti gli aventi diritto godono di permessi per assenze tipo 104, o magari vanno dal dentista nel tempo libero e non a metà mattina, o che semplicemente, per vari motivi (ad esempio nelle aziende private) cercano di risolverlo in proprio e nell’ambito familiare, a differenza di tanti che ne godono per parenti… di comodo.

  6. Luciano Onori dice:

    Alla luce di interpretazioni legate all’essere in servizio o meno anche le ferie equivalgono al non essere in servizio, quindi niente produttività? Sempre in tema di ferie, in base all’anzianità di servizio si hanno 28 o 32 giorni, quindi più ferie meno produttività?

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