Monetizzazione delle ferie: nulla di nuovo sotto il sole anche dopo la Sentenza della Corte di Giustizia Europea

Ha destato un certo clamore la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dello scorso 18 gennaio, nella quale i giudici hanno stabilito che una norma nazionale, fondata sul contenimento della spesa pubblica (quale l’articolo 5, comma 8, del d.l. 95/2012), che vieti la monetizzazione delle ferie non godute, non può prevaricare il buon diritto del lavoratore alla loro liquidazione, trattandosi di un diritto indisponibile e che – in considerazione delle sue finalità – gode di grande tutela.

Clamore che appare, però, infondato.

Innanzitutto, va detto che la stessa norma del d.l. 95/2012 non insiste in primis sul divieto di liquidare, ma dice innanzitutto che i congedi “sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti”. Questo, dunque, l’input principale offerto dalla fonte legale.

Inoltre, a ben vedere, la pronuncia delle Corte UE non dice nulla di davvero nuovo.

Si sofferma tecnicamente, questo sì, sulla prevalenza della tutela del lavoratore rispetto alle esigenze giuscontabili, ma conferma quanto, sia a livello euro-unitario che in plurime sentenze della Corte di Cassazione, era già stato ampiamente enunciato.

Nonostante il divieto di monetizzazione sia vigente (e sottolineato dalla Corte dei conti), in caso di ricorso al giudice del lavoro il dipendente ottiene infatti facilmente ragione della sua richiesta di pagamento. E questo da tempo, ormai.

Si conferma allora quanto da noi sempre sottolineato: il datore di lavoro ha tra i compiti più importanti proprio quello di garantire che ogni dipendente benefici interamente delle ferie maturate nel rispetto dei termini contrattuali, ovvero entro lo stesso anno di maturazione o, al più (ma si tratta di una deroga, il più possibile da evitare o contenere), entro il 30 giugno dell’anno successivo.

Un compito e una responsabilità precisi, che sgorgano dal Codice civile (art. 2109) e sfociano nel contratto collettivo, da gestire:

  • Attraverso una tempestiva programmazione delle ferie annuali dei lavoratori, tenuto conto in primis delle esigenze organizzative e, inoltre, delle richieste del lavoratore;
  • Eventualmente anche attraverso l’assegnazione delle ferie d’ufficio, qualora il lavoratore sia inerte nel richiederle o nell’indicare le proprie preferenze.

Anche la sentenza di cui in apertura ammette che possa non pagarsi solo se il datore dimostra che il dipendente si è rifiutato di fruire dei congedi, ma potendo (salvo il caso dei dirigenti) assegnare le ferie d’ufficio, ciò diviene assai complesso da sostenere.

Evitare qualsiasi accumulo di ferie arretrate, quindi, è l’unico modo per far sì che alla cessazione (anche non programmata) di qualsiasi dipendente, un ragionevole cumulo di ferie sia fruito prima della fuoriuscita del lavoratore (anche rinunciando al preavviso lavorato, dice la Corte dei conti), azzerando o al massimo riducendo a pochissimi giorni una eventuale monetizzazione sostitutiva.

Gianluca Bertagna e Davide d’Alfonso

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