Nella nostra provincia sono rimasti due maestri maschi. Uno di questi è il maestro Rinaldo, che ha da poco finito il ciclo delle elementari (ora scuola primaria) con Matteo. Sono tanti i maestri e i professori di cui potrei parlare, più o meno bravi. Ma qua la bravura, peraltro molto soggettiva per un padre, non c’entra. Parlo del maestro Rinaldo perché ho una storia da raccontare. A volte, questo può bastare.
A vent’anni ho iniziato ad allenare la mia prima squadra di calcio. Poi ho preso persino il patentino, ma mi sono sempre fermato nel settore giovanile del mio paese (o quasi). L’annata del 1982 è stata una delle migliori. Siamo arrivati alle finali. La stessa classe ha anche partecipato ai “Giochi della gioventù” e mi avevano chiesto se potevo andare ad accompagnarli. Dovendo scegliere tra una partita di calcio e un esame all’università, avevo optato, decisamente, per la prima. E così ho conosciuto il maestro Rinaldo. Ma cosa ci fa un insegnante maschio alle elementari?
C’è stata subito stima reciproca. Sul campo di calcio siamo arrivati in finale. E abbiamo perso. Ma siamo diventati amici. Addirittura mi aveva invitato in gita con la classe alla “Torre di San Martino”… un gitone di ben 15 chilometri di distanza, su classico pullmino giallo (se non ricordo male mi era costato l’esame di diritto fallimentare…).
Dopo un po’, me lo ritrovo ad insegnare a mio figlio Matteo per i cinque anni delle elementari. Ero contento. E lo sono ancora oggi che quei cinque anni sono terminati. L’altra sera, durante la festa finale, il maestro Rinaldo, dopo aver ballato e cantato con tutti noi, è salito sul palco a ringraziare i bambini. Le sue parole: “In una vita, ci sono cose che si ricorderanno per sempre, nonostante sembrino così ripetitive. Ci sono emozioni che rimangono per sempre. So, sono consapevole, che la vostra classe sarà il ricordo per tutta la vita del mio insegnamento”.
Ci siamo abbracciati.