Lele

Oggi sono cinque anni che ci hai lasciato. Ogni istante di quel 26 settembre è vivo nella mia mente. La notizia, le emozioni, il pianto. Mi sono ricordato che ti avevo scritto delle parole. Le ho riprese e te le scrivo ancora. Senza spazio, nè tempo.

È il primo giorno senza di te, Lele. Ho svegliato l’alba e tu non c’eri. Ho avuto subito l’istinto di aprire i miei rifornitissimi album di fotografie. Ti ho trovato subito, all’evento dell’ultimo Santo Stefano. E subito ho chiuso. Ho avuto paura. In un libro ho letto: “Le fotografie servono solo a far dimenticare quello che non si è fotografato”. Ho avuto paura di ricordarti solo per quello che avrei visto sulle immagini.

Allora mi sono alzato e ho lasciato sfogare i pensieri. Ho camminato per le vie del tuo paese, del nostro paese. Sono passato davanti a casa tua. E tu non c’eri. Mentre iniziavano i primi riflessi di un nuovo giorno toccavo le pareti di casa tua, i muretti dove abitano i nostri amici. Ho sfiorato le mura del Silvio, del Paio, della Paola, di mio fratello, della Vale e del Valerio, della Elena, di Alberto, della Silvia, di Andrea, del Tui. Mi sono appoggiato alle ringhiere e ho camminato di nuovo. Ho assaporato l’odore del vialetto della chiesa delle suore, dove ci vedevamo da piccoli al rosario di maggio. Ma tu non c’eri. Ho visto la sedia al quale eri seduto domenica, quando ci siamo visti l’ultima volta, quando, ancora, mi hai preso scherzosamente in giro. Ho toccato il tavolo sul quale avevi bevuto l’aperitivo.

Non so se ci hai badato, ma da quando non sei più tra noi, da quando non possiamo più toccarTI, abbiamo bisogno di toccarCI, di abbracciarci, di stringerci forte. Non riusciamo solo a guardarci negli occhi, non riusciamo a condividere solo le lacrime. No, vogliamo sentire che ci siamo, vogliamo farti rivivere nei nostri tocchi. Vogliamo che anche il corpo abbia la sua parte. Ci diciamo “vivrai sempre con noi, nei nostri cuori, nei nostri pensieri”; forse perché non siamo certi di ciò, vogliamo toccarci a tutti i costi. Forse perché il tocco di un’altra persona è l’unica attestazione di esistere.

E allora forse tu non sei tra i nostri pensieri, non vivi nelle nostre emozioni, non ritorni nei nostri sogni. Tu sei nei nostri gesti quotidiani, tu sei ciò che noi facciamo, tu sei nei nostri abbracci. Noi siamo fatti di te, Lele. Noi siamo te quando usiamo l’ironia, quando tifiamo inter anche se teniamo a un’altra squadra, quando ci dedichiamo a preparare una cena, quando apriamo le porte di casa nostra, quando commentiamo un libro o un film con gli amici, quando partecipiamo attivamente alle feste paesane, quando leggiamo in chiesa, quando ci vestiamo sempre alla moda, quando giochiamo a calcio, quando ci ritiriamo dal fantacalcio, quando passiamo in un attimo da uno stato d’ira ad un momento di incanto per la vita, quando litighiamo con i nostri genitori, quando i nostri genitori non ci capiscono, quando sfoggiamo con gioia una nuova macchina, quando fumiamo una sigaretta, quando ci alziamo presto al mattino, quando perseveriamo e non molliamo, quando preghiamo, quando improvvisamente salutiamo e andiamo via senza dire né dove, né perché, quando stiamo male per una balla, quando ci portano al pronto soccorso, quando facciamo un sorpasso, quando scriveremo a mano gli auguri di Natale, quando andremo ad un matrimonio e ci faremo cambiare il vino perchè sa di tappo, quando… Tu Lele, sei già risorto. Non c’è null’altro da aspettare. Il tempo è solo una convenzione inventata da noi. Tu sei già risorto. Sei risorto in noi. Forse è una magra consolazione, ma forse è lì l’unica spiegazione della nostra vita.

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