Roma. Stazione Termini. Sul marciapiede di attesa c’è confusione. In tanti stanno cercando di prendere un taxi. Dieci giorni fa vi era una discussione di massima utilità sull’orientamento corretto della inesistente “fila”. Oggi, c’è dell’altro.
Sento delle voci. Cercano un taxi grande. C’è un cane da caricare. La gente sgomita, perché non si può fermare il mondo per un cane che deve salire in un baule. Che poi il cane non è da solo. È un cane che accompagna due ragazzi, un lui e una lei. E due bastoni. Bianchi. Una vacanza romana alla cieca, verrebbe da dire. Li osservo. Un po’ ci vedono attraverso gli occhiali spessi, ma poco. Il cane salta su, obbedendo ad un hop. Il tassista prova a prendere la valigia del ragazzo per caricarla in auto. Il ragazzo dice: faccio da solo. Sei cieco, hai un bastone in una mano e con l’altra dici: faccio da solo?! Lo guardo, senza capire bene. Due passi indietro e cosa fa? Vuole anche chiudere da solo il baule?! Da solo?! Tutto da solo. Verrebbe da aiutarlo, ma anche no. Se vuole fare da solo, perché bisogna sempre per forza aiutare? La ragazza è a pochi passi. Il tassista lo ferma: non chiudere, aspetta, le fai male. Grazie, dice lei.
Come se nulla fosse, i due si spostano, salgono sul gradino del marciapiede, aprono la portiera e salgono in auto. Tutto con una naturalezza da vedenti. Fuori la gente continua a sgomitarsi. Io li intravedo dal finestrino chiuso. Abbassano i bastoni bianchi tra i sedili. Si girano e si dicono qualcosa, forse: siamo a Roma. Da soli. Si sorridono e partono. Sorrido e cerco il mio taxi. Battagliando, ovviamente.