Il sospetto mi era già venuto all’andata. Diciassette minuti di ritardo e coincidenza presa in zona Cesarini con fischio di chiusura delle porte del controllore. A Termini è tutto un zig zag causa lavori e tra un binario e l’altro sono persino riuscito a scivolare sul pavimento bagnato d’acqua. Non puliscono mai, ma quando lo fanno lasciano il segno e tu ci lasci un polso. Salgo al volo e mi ritrovo, senza manco dirlo, dall’altra parte del treno rispetto al mio posto assegnato. Inizio la risalita, ma la porta tra il secondo e terzo vagone è bloccata e così mi siedo a caso dove c’è posto. Per adesso siamo all’ordinaria amministrazione di un normale viaggio di lavoro.
Il ritorno, è certamente più emozionante. Su 2 ore e 50 minuti di tragitto, il Frecciargento avrà un ritardo di 2 ore e 35 minuti, accumulato tutto, peraltro, nell’ultima mezzora. Il tutto sarebbe stato di una noia mortale, ma improvvisamente gli eventi sono allegramente precipitati. Bloccato (senza sapere il motivo) sul treno alla conosciutissima stazione di Buttapietra, ho dato una svolta psicologica al viaggio: siccome l’unico appuntamento a cui tenevo era impossibile da realizzare, ho iniziato a godermi l’esperienza. Prima di tutto ho rifiutato l’invito di uno sconosciuto ad essere accompagnato in macchina alla stazione di Verona dove avevo lasciato la mia auto. Banalmente mi sono chiesto: “…ma se anche lui avrebbe dovuto arrivare a Verona, perché ha la macchina in questa stazioncina?” E ho lasciato perdere.
Ho quindi acceso le antenne per registrare i discorsi dei mie compagni di viaggio. I migliori erano gli avvocati, che, ovviamente, stavano già pensando a cause milionarie nei confronti di Trenitalia. L’imputato era il controllore, il quale ignaro di essere al mondo, continuava a ripetere: “Vi teniamo informati”. Le informazioni sono arrivate. Saremmo andati a Verona Parona e da lì, forse, ci sarebbe stato un pullman che ci avrebbe riportato in stazione a Porta Nuova. Dopo aver richiamato due tedeschi che erano scesi a farsi di birra, il treno è lentamente ripartito e subito dopo ci è stato comunicato che la nuova destinazione sarebbe stata Domegliara, dove, sempre forse, ci sarebbe stato un autobus per riportarci in città. Due signore anziane mi imploravano di usare “quel coso” (il cellulare) per saper loro dire dove fosse questa amena cittadina affinchè potessero avvisare i loro parenti per il recupero.
Arrivati a Domegliara, siamo stati scaricati e ci siamo ritrovati in una cinquantina in un deserto piazzale. Di pullman nemmeno traccia. E neppure di un’eventuale area di sosta per autobus. Ma qua sono iniziate, secondo me, le battute migliori.
Un signore sulla cinquantina, prima di accomiatarsi dal treno che ripartiva, sentendosi in dovere di conoscere la verità, ha preso di mira il solito controllore e urlando in mezzo a tutti l’ha crocifisso chiedendogli: “Ma perché non ce l’avete detto prima di questi ritardi, così saremmo scesi a Bologna e avremmo optato per altre soluzioni?”. Il controllore, che intanto avevo eretto a mio eroe, ha aperto le mani e gli ha risposto: “Non so, io controllo i biglietti e mi creda: non so nemmeno dove sono”.
È poi arrivata la donna manager, quella che compila il file di excel sul treno. Si, dai, lo so che l’avete vista tutti prima o poi… Quella lì. Ha iniziato un discorso sul fatto che forse era meglio scendere tutti a Buttapietra, che così non aspettavamo così tanto e che il pullman dovevano mandarlo lì e non qua, così alla fine risparmiavamo circa 7/8 minuti. Improvvisamente, attorno a lei, s’è fatto il vuoto.
Dal nulla è poi sbucato un pullman. Sembrava un miraggio. L’autista, con un grugnito, ha confermato che andava a Verona. Abbiamo iniziato a salire. Un tipo sulla quarantina, uno di quelli che sa di essere il predestinato per salvare il mondo, ha urlato: “C’è qualche delegato di Trenitalia che si metta davanti alla porta così da far salire prima le donne e bambini?”. Un signore, più anziano e saggio, lo ha squadrato e gli ha detto: “Se le donne e le bambini vengono qua li facciamo salire per primi senza tante complicazioni”. Ho visto la delusione scendere sul volto del quarantenne.
Finalmente, siamo arrivati alla stazione, con un ritardo, appunto, di 2 ore e 35 minuti. Ecco, questa è stata la vigilia dell’inizio dell’Expo (e del mio compleanno).