L’indiano

È noto a tutti che quando si pratica l’attività sportiva della corsa il tempo non passa mai. Addirittura, correndo, succede una cosa incredibile di questi tempi: si pensa. Per superare questo grande pericolo, ci sono due soluzioni: andare con un amico oppure accendere la musica. Questa mattina, prima di lasciarmi andare alle note delle canzoni che danno la carica (una su tutte mi fa impazzire e accelerare: “Stressed out” dei Twenty one pilots), ho persino fatto un discorso immaginario denso di dialoghi con un signore indiano in bicicletta che ho avuto l’ardore e l’ardire di superare.

Il puntino all’orizzonte si è sempre fatto più vicino fino a scoprire la massiccia figura con il turbante in testa. Nella zona vivono tanti indiani, i quali hanno il 99% del business della distribuzione della pubblicità nelle case. Pedalava lentamente, con la tunica che cadeva qua e là sui fianchi. Tanto lentamente, che secondo me stava sfidando le leggi di gravità. Piedi leggermente allargati e schiena buttata un po’ all’indietro. Lo affianco, saluto e sorpasso. E poi inizia il mio dialogo (ma è un monologo, chiaro) immaginario.

Ciao. Come ti chiami, è tanto che sei in Italia. Come mai vai così piano. Sai che io ci ho visto una metafora della vita poco fa? Tu che lentamente torni verso casa ed io che esco di casa per andare a correre. Non ne ho abbastanza di correre tutto il giorno che ho bisogno di un momento di lentezza per andare a correre. Un controsenso, ma è così. Tu, invece, bello bello, vivi lento ora e sempre, magari chissà, gustandoti più la vita. A me la vita corre via e quando posso fermarmi un po’, esco e corro. Non ti sembra strano? Che poi dico, c’è anche sta cosa qua che mentre tu, si vede, nel tuo lento pedalare stai ben bene con te stesso, io mi ritrovi persino qua a trovare il tempo e la presunzione di farmi i cazzi tuoi. Ah, sai. Visto che ci siamo te lo chiedo. Lo sai perché nella distribuzione della pubblicità non arrivate al 100%? Perché noi abbiamo “l’amico”. Si, si. Quel signore con motorino, mezzo orbo, con gli occhiali spessissimi che quando passa dice sempre: “ciao amico”. Quello non molla, neh. Pio che arrivate al 100%!

Chi corre, avrà già notato i sintomi denominati: “ossigeno che non arriva più alla testa”. Evidente. Fatto sta che giungo al punto del mio ritorno, mi giro e corro in senso contrario (non all’indietro, mi vien da precisare). Poco dopo, mi ritrovo, ovviamente, l’indiano davanti. Accenno un ri-buongiorno ed un sorriso. Lui ha lo sguardo fisso, avanti. E dagli occhi scendono delle lacrime. Per forza, penso io, ci sono due gradi, fa freddo e non è abituato. Poi, sto per iniziare ad ipotizzare tutta la sua vita. Ma stavolta mi fermo. Zitto. Accendo la musica e semplicemente mi tengo l’indiano nel ricordo di un incontro e di un dialogo mai avvenuto.

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