La gita fuori porta

Facciamo finta – ma per me non è difficile perché lo sono – che uno sia molto scrupoloso e rispetti tutte le regole che gli vengono imposte rispetto agli spostamenti durante i vari periodi di diffusione del Covid-19. Senza avere una soluzione alternativa, adesso vi dico che cosa a me dà proprio fastidio. E lo faccio con un banalissimo esempio.

Roma: possibilità di spostamento di un cittadino. In un’ora e venti di mezzi pubblici si può arrivare fino al mare. Non è il mare più bello del mondo, si intende. Ma è uno sguardo nuovo che di questi tempi vale di più di ogni irraggiungibile acqua cristallina. Quindi: mi sveglio già con l’idea di fare una gita “fuori porta”, decido che abiti mettermi perché farò vita sociale, mi preparo un pic-nic, scendo in strada, attendo l’autobus, faccio due parole con gli altri passeggeri, dal finestrino vedo scorrere i quartieri della mia città, scendo in piazza, mi guardo attorno, ficco il naso in qualche vetrina, forse riesco a prendere un caffè, prendo la metropolitana, poi cambio ancora e prendo il treno, arrivo al Lido di Ostia, faccio due passi e sono al mare. Respiro. Poi, avanti: tocco la sabbia, faccio due passi scalzo, magari una corsetta, pranzo all’aria aperta, leggo un libro, aspetto il tramonto, assaporo la luce sul mare e torno a casa.

Il mio paese: possibilità di spostamento di un cittadino. Un quadrato di 5 km per lato (e mi va anche bene). A destra c’è un’altra regione, vietato. Sugli altri lati, altri comunelli. Fine. Quello che mi viene in mente è il verbo: appassire. Manca quell’idea di “nuovo”, perché quando si esce di casa, oltre ad essere persino uno sforzo togliersi il pigiama, è già un “tutto visto”. Per carità, amo la mia zona, le mie colline, i sentieri, ma il fatto è che ormai ho dato il nome ad ogni albero – e quando ci parlo, neppure mi rispondono –, ho battezzato ogni sasso, ho visto le stesse identiche cose per quasi un anno. Si può obiettare che in questo modo si permette a noi “della campagna” di andare più in profondo nelle cose. In verità ho sempre mal sopportato questa differenza tra noi della periferia e quelli della città a partire dalle superiori dove in classe eravamo divisi in “campagnoli” e “cittadini”. Ad esempio, sto ancora aspettando che i professori mantengano la promessa: “A voi che venite da lontano e tutti i giorni vi alzate alle 6 per prendere la corriera, a fine anno daremo un premio con qualche voto in più!”. Mai visti premi, mentre i compagni della città avevano pure il coraggio di arrivare tardi a scuola ogni sacro giorno.

Niente. Oggi, durante il lockdown, sta cosa pesa ancora di più. Non ho altro da dire, perché non ho altre soluzioni. E perché, appunto, volevo solo sfogarmi di un mio fastidio.

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