Ubertosi

Qualche notte fa è venuto a trovarmi il mio vecchio parroco. Ma lui era giovane, come se il tempo non fosse passato, come se fosse ancora uguale a quel don Ruggero che mi impressionava quando ero piccolo. Nel sogno faceva cantare noi bambini, ci insegnava nuovi canti per la messa. E così, dal lontano sono tornate le rime di “Salga da questo altare”, che iniziava così: “Signore di spighe indori i nostri terreni ubertosi, mentre le vigne decori di grappoli gustosi”.

Mi sono svegliato frastornato chiedendomi perché mi ero dimenticato di così tanta bellezza poetica (avrei anche potuto chiedermi perché avevo fatto tornare don Ruggero a cantare con me, ma tant’è). Cioè, voglio dire: “ubertosi”… ma che bella parola è! Io mi immagino i due autori dell’inno, Albisetti e Pichi, che seduti ad un organo (di sicuro non era una chitarra) cercano di trovare una rima con il più facile “gustosi”. Che l’uva sia gustosa, potevamo arrivarci tutti, insomma. Che i terreni siano “ubertosi”, beh, lì ci vuole classe. Senza contare che anche quel verbo “indori” è di una bellezza unica. Il Signore avrebbe potuto colorare, dipingere, spruzzare. Ma si sa che il Signore fa un po’ quello che vuole e quindi “indora”. Spettacolo.

Parole di altri tempi, insomma. Solide e levigate.

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