Durante la sua vacanza studio a Dublino, mio figlio, diligentemente, mi informava che era diventato un punto di riferimento per l’organizzazione di tutto il gruppo. Niente di eclatante, ma sembra che tutti si rivolgessero a lui per sapere quando sarebbe passato un treno o quando avrebbe aperto quel determinato locale o negozio. Ammetto di aver avuto un sentimento di orgoglio perché, in effetti, tra me e lui si scherza sempre su una specie di adorazione del dio-logistico, tanto da aver codificato anche i dieci comandamenti di un’organizzazione perfetta. Malattie, certamente.
Poi, come spesso accade quando si è troppo “spostati” verso un’unica direzione, questa mattina mi è apparso casualmente un articolo della regista Alice Rohrwacher. Riporto le sue parole, perché sono davvero belle.
“Dei ragazzi mi fermano e mi chiedono perché mi ostino a girare i film in pellicola, visto che ormai ci sono software in grado di imitare ogni tipo di pellicola. La mia non è una necessità estetica, ma di metodo: metto in conto l’imprevisto. Girare in pellicola vuol dire lavorare con un supporto vivo, che a volte regala dei piccoli miracoli di luce, a volte delle brutte sorprese non impressionando intere scene. Così al centro di ogni creazione non c’è il controllo assoluto del mezzo, ma la relazione con il mezzo. Penso a quanto sia oscuro e pericoloso invece il vizio del controllo, che ha ristretto le nostre anime e le nostre vite. Hai prenotato? Hai controllato le previsioni? Possiamo esercitare il nostro potere pure su un film, mandandolo avanti veloce o saltando dei pezzi. Va a finire che l’imprevedibile non lo incontriamo più e quando ci si palesa di fronte ci sbattiamo con violenza, facendoci male o facendo male”.