Non stava esattamente correndo. Il passo veloce, però, tradiva l’emozione per la sorpresa che stava per fare. Una di quelle cose in cui l’idea e la preparazione prendono più tempo della realizzazione. Nonostante fosse inverno, Giorgio sentiva piccole gocce di sudore formarsi sulla sua testa scoperta, mentre i passanti di tanto in tanto si giravano con sguardo curioso verso quel giovanotto con una bottiglietta in mano che dalla premura dei suoi passi sembrava lasciare traccia sul selciato luccicante delle strade di Roma.
Arrivò alle porte del teatro, ma gli mancava ancora una cosa. Si guardò intorno in cerca di un bar: “Buongiorno, potrebbe prepararmi un caffè da asporto?”.
Cercando di non farne uscire nemmeno una goccia dalla tazzina, bussò alla porta principale e spiegò che era un amico di Franca, la fotografa. “Embè?”. “No, nulla. Le ho portato un caffè e un po’ d’acqua perché non può allontanarsi nemmeno per una pausa”. “Dai, passa, su”.
Giorgio, entrando in platea, riconobbe subito Franca. Era appena appena sotto il palco, tra due faretti che illuminavano la scena. La macchina fotografica pronta a scattare. Ogni trenta secondi sul palco salivano imbarazzati i candidati ad un ruolo nella nuova commedia di un famoso regista. Il compito di Franca era di scattare, in quel minimo lasso di tempo, tre fotografie – una al corpo intero, una a mezzobusto e una al volto – a tutti quei ragazzi che ritmicamente e senza sosta si alternavano. Una catena di montaggio. Il caffè si stava raffreddando e Giorgio prese il coraggio di avvicinarsi alla sua amica e di sussurrarle: ti ho portato qualcosa da bere. Franca si girò e rimase sorpresa di trovarsi proprio lui, lì di fronte con in mano una tazzina e una bottiglietta d’acqua. Sfoderò il suo più bel sorriso che diceva anche: ma tu sei matto! In un attimo bevve e torno a scattare alla nuova ragazzina che nel frattempo, tutta vestita di verde, era salita sul palcoscenico.
Giorgio sapeva che in quei pochi secondi la sua entrata in scena si era conclusa. Franca non si sarebbe più girata tutta indaffarata dalla sua frenetica attività. Guardando le poltrone rosse della platea deserta e pensando che in effetti quel pomeriggio non aveva molto altro da fare, Giorgio si sedette in seconda fila.
Iniziò ad entrare in quel rosario di salite e discese: il rumore dei passi sulla scala, quei pochi metri per raggiungere il centro, la messa in posa, il triplice click della macchina fotografica, ancora qualche passo e lo scricchiolio dei gradini dell’uscita dall’altra parte del palco.
Ben presto, però, si accorse che qualcosa era cambiato. Gli occhi dei candidati non rimanevano più fissi sulla macchina fotografica di Franca, ma si allungavano fino ad incrociare il suo sguardo, di quel signore, strano, senza capelli, seduto su una poltrona in totale immersione dell’evento. Giorgio si accorse che stava cambiando persino il colore e la temperatura del volto di tutti quei giovani. Puntavano più a lui che a far colpo allo scatto della fotocamera. Credevano che fosse lì per scegliere direttamente i protagonisti o addirittura che proprio lui fosse il regista.
L’imbarazzo di Giorgio cresceva. Goccioline di sudore lo obbligarono ad uscire da quel mantra e prendere consapevolezza di quel momento. Lui, lì, in un teatro vuoto, seduto con una tazzina in mano e una bottiglietta d’acqua nell’altra. E l’unica cosa che più di tutte voleva era far capire a quei ragazzi che lui non c’entrava proprio niente con lo spettacolo, che lui era lì per caso, che lui era semplicemente un “reggicaffè”.