La signora dei biglietti colorati
Salgo sul treno verso Firenze e me la ritrovo seduta di fronte.
È una signora distinta, molto ben curata. Alza gli occhi per salutarmi. Buon giorno. Buon giorno a lei. E riabbassa la testa e ritorna a scrivere.
Sta scrivendo a mano, non su una tastiera di un portatile come quasi tutte le altre persone della prima classe.Una papermate scorre dolcemente sulla carta. Una scrittura lineare sta lasciando solchi indelebili di pensieri su un foglio di carta. Colore rosa.
Parola dopo parola la signora strappa una decina di foglietti intrisi di inchiostro.Nel silenzio della cabina assaporo il rumore della penna a sfera saltellare allegramente qua e là. È uno di quei suoni che è sfuggito dal nostro tempo, estinto grazie all’avvento del computer. “Grazie”, per modo di dire, ovviamente.
La signora è un medico, lo capisco dall’invito a partecipare oggi ad un convegno scientifico a Roma che appare sul tavolo. È partita da Verona. Arriverà alle 11. E nel frattempo, isolata dal mondo, scrive, scrive lettere credo. Poi mi sorprende. Ricopia le parole lasciate sui fogli rosa su altri foglietti, di colore verde. Meticolosamente. È concentrata. Guarda quello che ha scritto poco prima e lo riporta esattamente sui nuovi foglietti di un altro colore.Una volta finito di ricopiare il tutto, prende quelli rosa e li strappa in più e più parti e li deposita nel posacenere sotto il finestrino. Piega invece quelli verdi e li pone in una busta sulla quale scrive il destinatario.
Da Mantova a Firenze fa la stessa cosa per ben tre volte. Non so perché, ma il tutto mi rimane impresso nella mente. Ci trovo non so… un qualcosa di poetico. Si può dire?Penso di sì. Gesti semplicissimi, forse di altri tempi, con un non so che di mistero per quelle parole duplicate su foglietti diversi colorati di rosa e verde. Sono arrivato. Scendo. Ci sorridiamo. Arrivederci, signora dei biglietti colorati.