Tra due vagoni – 6 Novembre 2009
Mi piace viaggiare in treno.
Qualcosa oggi mi ha però fatto scattare un certo nervosismo. Niente di che, per carità. Però il viaggio Varese-Desenzano mi ha duramente provato.
Tanto per dire: impiego meno ad andare a Napoli che nella cittadina lombarda. Una volta ho provato ad andarci in macchina. Sono sceso dopo quattro ore di rallentamenti, ripartenze, occhiate, zig-zag. Irripetibile! Mai più.
Quindi punto sul treno. Che finora è stato estremamente clemente. Sono sempre quattro ore, però almeno sto un po’ più tranquillo, chino sui libri a ripassare o cercando sul finestrino i riflessi tra sonno, sogno e realtà.
Oggi tutt’altro.
Il treno su cui avevo la prenotazione era avvisato con cinquanta minuti di ritardo. Non mi arrendo. Salto sul primo regionale che mi porta da Gallarate a Milano. Prendo la metropolitana e arrivo sorridente alla centrale: ci sarà pur qualcosa che parte verso est prima di aspettare quello dei cinquanta minuti (che nel frattempo erano diventati un’ora e passa)…
C’è. Il mitico regionale. Salto su al volo. Senza biglietto, perché quell’altro non vale sui regionali e quello dei regionali non vale sugli intercity, e via dicendo. Si chiama compensazione. Ma si vede che alle ferrovie dello stato non è ancora arrivata.
Il treno è … bombato. Termine per dire: strapieno, stracarico, senza il minimo spazio vitale. Infatti faccio il primo tratto Milano – Treviglio tra due carrozze. Un piede di qua e un piede di là. Guardo in basso e vedo scorrere le rotaie. Di fianco a me la porta del bagno che si apre e chiude in continuazione. Provo qualche telefonata. Cerco compagnia. Non sento niente. Di là, non si capisce niente. Vabbè. Proviamo con l’Mp3. Funziona.
Il treno continua il tragitto e pure questo accumula ritardo. Alla fine saranno venti minuti. Una pacchia. Penso a chi si trova in questa situazione tutti i giorni. Studenti, lavoratori. Gli eroi invisibili del quotidiano.
Di tanto in tanto si sente gente tossire, starnutire, imprecare. Ad un certo punto vedo passare un immenso bacillo: non vi è dubbio che sia l’influenza A che va verso Venezia.
Ci riprovo con qualche sms. Vengo invitato a desistere da un possibile suicidio. Mi convincono.
Poi mi salva un giornale di quelli che si trovano gratuitamente nelle stazioni. Il tipo che sta di fronte a me, con il mitico cappello verde della John Deere che da piccolo sognavo in continuazione, penso ne faccia collezione. Li ha tutti: City, Metro, Leggo, Brescia, ecc. ecc. Me li presta. Su tutti gli stessi articoli. Imparo qualcosa di vita mondana. Su Clooney e la Canalis ad esempio.
Tocco finalmente terra, ma inebetito, alla stazione di Desenzano. La macchina mi attende e approdo a casa, dove, meraviglia delle meraviglie,… c’è un pannolino fresco fresco da cambiare…