Un vecchio pianoforte
Le note del pianoforte mi giungono armoniose e nitide. I bassi creano un’atmosfera piacevole e mi fanno pensare che si sta davvero raccontando della luna, così come è indicato in francese nel titolo del brano.
Improvvisamente non sono più in questa sala. Sto toccando un pianoforte nero, non di quelli a coda. È lì, tra due mobili alti con le vetrinette, di traverso, a coprire un angolo dal quale appare un quadro appeso alla parete di destra. Dietro un po’ di tutto, persino un peluche gigante di mia cugina.
Sopra lo strumento musicale è appoggiata una coppa, quella che mio nonno vinse arrivando sesto ad una edizione delle mille miglia. È sempre stato un motivo di orgoglio mio nonno e ancora oggi quando penso a lui lo associo costantemente a quel trofeo.
Ogni volta che vedo il pianoforte mi viene voglia di sollevare il pesante coperchio. Di quel pezzo di legno che una volta alzato si appoggia alla cassa ricordo anche qualche segno particolare: un buco sulla destra, un graffio sulla sinistra. È un momento magico che si ripete sempre: trovarsi davanti i tasti bianchi e neri pronti per essere sfiorati.
Qualcuno è più basso di altri. Il tempo ha fatto in modo che un “do” ed un “sol” all’estrema sinistra si bloccassero a metà via: funzionano ancora, ma non ritornano mai nella posizione orizzontale con i loro compagni.
Mi siedo sullo sgabello girevole. Un misto di legno e pelle, color verde scuro, con tre gambe sempre in bilico. Sotto la tastiera ci sono dei pedali che non ho mai imparato ad usare (e a dir la verità non so nemmeno a cosa servano).
Un giorno intuii che quello strumento davanti a me non era altro che il flauto che stavo imparando ad usare a scuola con infinite potenzialità aggiunte. E allora eccomi qua a provare qualche singola nota, con un solo dito tremante a pigiare un unico tasto alla volta. La primavera di Vivaldi, l’inno alla gioia di Beethoven, la musica della pubblicità della Barilla.
L’incanto finisce. Torno alla realtà. Chissà che fine ha fatto il pianoforte che c’era nell’angolo a casa dei miei nonni . Domani telefono a mia zia e mi informo. Anzi… no. Non mi interessa più di tanto. Quello che importa è che se sento una nota e chiudo gli occhi posso accarezzarlo e giocarci ancora un po’.