Qualche giorno fa ho scoperto di essere il trentesimo. Di cosa, non posso rivelarlo. Ma dopo un bel sorriso per il risultato ottenuto, ho iniziato a pensare all’uso dei numeri cardinali nella nostra vita.
Prima o poi a tutti è capitato di essere un numero.
Ad esempio, si fa largo uso dei numeri nelle famiglie. Si dice infatti: sei il quinto di sette fratelli. Alcuni proprio li chiamano Quinto, con la q maiuscola.
Poi arriva la scuola. “Sei il primo della classe” è un mito di tutti. A volte, essere primi nei compiti equivale però essere ultimi nelle amicizie.
Curioso notare, che mentre i primi numeri sono ben chiari (il primo, il secondo, il terzo, forse un retaggio di concetto di “podio”), poi, più si va avanti più si diventa una specie di aggregato, tipo “l’ultimo”. Non ho mai sentito dire, ad esempio, “sei il trentaduesimo della classe” quando gli alunni sono appunto trentadue. Dopo un po’, contando, si dice “sei l’ultimo”… oppure… “uno degli ultimi”. I confini, insomma, sbiadiscono.
È anche facile dimostrare che è più facile vedersi affibbiato uno dei primi numeri. O comunque i primi sono quelli più immediati da ricordare. I numeri più bassi sono infatti quelli del quotidiano, degli affetti famigliari, delle esperienze scolastiche e lavorative. Ricordo una storia di Topolino, in cui si vede uno Zio Paperone che vince un acquisto gratuito perché era il millesimo cliente di un negozio. Ma questi numeri “grandi” e strani, quante volte ci possono capitare in una esistenza?
Quando mai siamo diventati il trecentocinquantanovesimo di qualcosa? O partecipiamo ad una gara podistica e proprio quello è il nostro risultato oppure la questione si fa complicata. Certo, potremmo anche essere il duecentounesimo spettatore che entra ad un concerto di Bruce Springsteen, ma lì non possiamo avere la consapevolezza di esserlo stato a meno che l’omino ai cancelli dello stadio non sia un nostro amico e noi dei fanatici aritmetici.
Però il gioco può essere divertente e curioso. Provateci. Quanti numeri diversi vi potete assegnare?