Giorni da Coronavirus

Sono strani questi giorni in cui mi muovo su e giù in treno in una Italia sotto l’effetto del Coronavirus. Mi sento sospeso nelle mie solitudini che riemergono facilmente nelle stazioni deserte e desolate. Lo speaker sembra parlare a se stesso e racconta di treni soppressi, cancellati, rimandati e in ritardo. Un rimbombo più forte del solito che anche nelle carrozze vuote fa sobbalzare ad ogni minimo suono. È tutto strano e non riesco ancora ad avere un’opinione stabile e certa. Forse è quasi giusto non averne. Perché schierarsi per forza tra quelli che dicono che è tutta una esaltazione o tra quelli che ritengono il Covid-19 un’emergenza mai vista? Assisto, obbligatoriamente silenzioso. Sorrido un po’ mentre penso a questa gestione delle cose molto social e credo che ricorderemo questi giorni anche per questo.

La stranezza che ho addosso dipende anche dal fatto che rispetto al solito non riesco ad avere il controllo sul mio tempo come vorrei. L’agenda degli appuntamenti è diventata da solida certezza a imbarazzante insicurezza. E per chi è obbligato ad avere un’organizzazione delle giornate a lungo raggio è qualcosa di particolare, che da tempo non mi accadeva. Che sarebbe come dire: si vive alla giornata. Più facile a dirlo che a farlo.

C’è anche una mancanza. Il contatto. L’obbligo che impone il protocollo di rimanere ad un metro di distanza dagli altri è stigmatizzante dell’assenza del tocco, della stretta di mano, della pacca sulla spalla. Rivedo persone che conosco da tempo e provo l’istinto di muovere le mie mani verso le loro per uno dei saluti più belli che ci siano. Poi ci si guarda, un attimo di sospensione, ci si ferma e ci si sorride. Sì, ci siamo capiti, ci siamo salutati come sempre, ma in un modo diverso. E come detto, il contatto alla fine mi manca.

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