La rete

Questa mattina ero a bordo campo a studiare scrupolosamente le capacità calcistiche di mio figlio più piccolo. Dopo tanti anni, mi sono ritrovato in faccia la rete. Sapete di cosa parlo. Il perimetro del campo da gioco viene delimitato dagli intrecci di una rete metallica ricoperta di plastica verde. Ora, confortevoli tribune, permettono di seguire il gioco da più in alto, seduti e con una visuale ottimale. Diversi anni fa, però, non era così.

Per me la domenica pomeriggio significava solo una cosa: calcio. Prima visto e poi giocato. Stamattina, però, mi è venuta un po’ di nostalgia per il primo aspetto, per quelle volte in cui mio papà mi prendeva su per andare a vedere le partite della squadra del nostro paese.

Era la sua passione. Dopo una settimana in giro per il mondo per lavoro si dedicava il sabato al giardino e la domenica al calcio. Di solito, alla mattina, veniva a guardarmi nei miei esordi giovanili. Al pomeriggio, però, eravamo lì, su campi improbabili della nostra provincia attaccati con il muso alla rete. Di tribune ce n’erano davvero poche. Stabilivamo la ricchezza dei paesi in base ai palchi allestiti per seguire le partite.

E così, in piedi, a tre metri dal campo di gioco, separati solo da un filo di ferro osservavamo i nostri beniamini di terza o seconda categoria affannarsi dietro ad un pallone. Più di tutto ricordo il gelo di certe giornate invernali. Mi vestivo il più possibile, ma i pile non esistevano ancora, i piumini costavano troppo e… insomma: faceva freddo.

Erano due ore di un mondo a parte. Mio papà era incollato alla partita con gli occhi e alla radiolina con le orecchie. Perché, cosa impensabile per i giorni nostri, tutte le partite si giocavano contemporaneamente, di solito alle 14.30. Mi aggiornava su tutti i gol di serie A in diretta.

Alcuni campi da calcio erano i preferiti perché si riusciva ad arrivare con la macchina contro la rete e ci si poteva scaldare un po’di più, anche se di certo non si poteva sprecare troppa benzina lasciando il motore acceso.

Stamattina, poi, mi sono ritrovato a sorridere da solo quando ho provato a fare una foto al mio piccolo portiere. Ho dovuto incastrare il cellulare tra gli spazi del fil di ferro e mi sono venuti in mente tutti quei quadrati sfalsati che mi sono trovato davanti da giovane e pensavo a quanto mi dava fastidio vedere passare i giocatori tra un buco e l’altro della rete.

Mi sono portato il sorriso per tutta questa domenica. Come a quei tempi. Con un desiderio di ritrovarmi tra poco, davanti alla televisione, sul divano ad aspettare la sigla di 90° Minuto.

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