L’altro giorno sono passato davanti al ristorante dove ho visto Silvio per l’ultima volta. Era la fine dell’estate di tre anni fa e avevamo bisogno di raccontarci un po’ quello che era successo nelle settimane precedenti. Per via del Covid non avevamo potuto fare nulla insieme, se non qualche piccola passeggiata nei dintorni del nostro paese. Il resto era stato tempo con i famigliari o, come si diceva a quel tempo, i congiunti.
Per la prima volta volevo andare con Silvio in un ristorante con una stella Michelin, ma era tutto pieno. Avrei voluto sentire i suoi commenti sul cibo fino a giungere alla certa sentenza: non c’è bisogno di spendere così tanto per mangiare bene. E io concordo. Ho quindi ripiegato su un locale sul Lago di Garda in bella posizione.
Lui non sapeva nulla se non che per quella sera avrei fatto tutto io. Lo passo a prendere, lui sale in auto e mi guarda: “ma come ti sei vestito?”. Avevo dei jeans e una camicia bianca, effettivamente insolito per me per una sera d’estate. “Ti ho detto che ti portavo fuori a cena!”. “Sì, vero. Ma guarda come sono messo io con dei pantaloncini e una maglietta”. “E che problema c’è?”. “Come minimo sarà un posto elegante e farò una figura di merda”.
Va detto che a Silvio, in effetti, dava fastidio essere il meno elegante del gruppo e anche quella sera mi ha tenuto il broncio per almeno un quarto d’ora. Ho iniziato a temere per la prosecuzione della serata e tutto a causa della mia solita approssimazione. Forse avrei dovuto dirglielo prima.
Le sue preoccupazioni, però, si rilevarono infondate all’arrivo. La bella sala – è vero molto raffinata e con vista sul lago – era piena zeppa di stranieri, in modo particolare di gente dell’est. A fine cena ci siamo fatti una bella risata ritenendo che la cosa più elegante fosse stato il modo in cui quel russo aveva srotolato una mazzetta di denaro contante per pagare più di mille euro di conto per la tavolata di almeno dieci persone.
Abbiamo parlato un po’ di tutto. Dei figli e delle vacanze. Della situazione politica. Ma anche della sua squadra, il Milan, della quale conosceva tutti gli acquisti per la nuova stagione. Nessuno dei due avrebbe immaginato che il campionato lo avrebbe vinto l’Inter e non oso pensare quanto si sarebbe innervosito per questa cosa.
Ma a maggio dell’anno dopo per scoprirlo Silvio non ci sarebbe stato. Qualche giorno dopo la cena è stato ricoverato in un centro di cura per iniziare un ciclo intensivo di cure palliative.
La crudeltà del Covid è stata anche questa: da quella cena, non l’ho più visto. È stato un po’ come l’ultima fotografia di un viaggio. Non sai mai quale sarà. Io non sapevo proprio quale sarebbe stato l’ultimo abbraccio reale con Silvio, ma neppure pensavo che sarebbe stato quel momento. In effetti più volte ci siamo immaginati che sarebbe stato lui su un letto di ospedale ed io lì vicino, ma il Covid ci ha tolto questo, così all’improvviso.
Nella casa di cura lasciavano entrare una sola persona al giorno. Una sola persona. Era giusto che ci fosse la possibilità per sua mamma, suo papà, sua moglie e suo figlio. Noi ci sentivamo su whatsapp. Tutti i giorni. Fino all’ultimo. Esattamente tre anni fa. Poi il silenzio e quei messaggi che sono rimasti lì sospesi ma che mi fanno ancora tanta compagnia.